giovedì 20 novembre 2014

l'articolo 18, il Job act e la sentenza amianto

Nel leggere lo scandalo e la reazione che scatena ognuno di queste azioni, determinate tra l'altro da organi e istituzioni diverse, sembra che cause differenti, si tingono dello stesso colore (della bile) e scatenano la medesima furiosa protesta, lo stesso clamore, ma anche la stessa simile, determinata, corale inefficace ed inutile risposta: la stampa e i media fanno addirittura più rumore di quanto ne faccia la piazza, per poi chetarsi velocemente e sparire, lasciando il campo alla serena azione della confindustria, magistratura e governo. Ecco. Mi colpisce come il volume ed il tono dei giornalisti sia un tantinello più alto perfino di quello della Fiom e, proprio per lo stupore che suscita, sembra quasi produca un effetto soporifero della re-azione alle ingiuste soluzioni, ma che subito lascia quel silenzio ovattato dei campi avvolti dalla nebbia di novembre, come se cristallizzasse sulla piazza, le urla di chi reclama ingiustizia, come la brina sull'erba. Io ho la netta sensazione, che tutto faccia parte di un unico disegno e che gli antagonisti facciano fatica a leggere e intravvedere. non ho mai verificato i nomi dei giornalisti che firmano un pezzo, leggono le veline del tg, ma mi sembrano scandite allo stesso ritmo; se non sto attento alle parole, un qualsiasi servizio potrebbe sembrare che mi stesse parlando di una di quelle questioni indifferentemente. Insomma, i sindacati conducono manifestazioni e lotte contro l'abolizione dell'articolo 18 e il risultato qual'é? che viene cancellato. L'opinione pubblica ruggisce contro il possibile annullamento della sentenza sull'amianto e il risultato qual'é? l'annullamento per prescrizione. Tutti contrastano il Job/act, bollandolo quantomeno di inefficacia e il risultato? lo approvano tutti perchè non c'é alternativa. Questo cantare alla luna dei cojotes sembra addirittura manovrato da una regìa speciale. Ma quale dovrebbe essere la possibile alternativa? Io faccio fatica ad intuirne una. Non vogliamo più che i barconi scarichino sulle nostre coste una fetta di umanità in cerca di una fuga alla fame e alle guerre, ci sembra più giusto aiutarli a casa loro e smettere di derubarli delle loro risorse: il risultato non può essere altro che la delocalizzazione verso i paesi poveri ( e senza diritti sindacali) delle nostre industrie. Possono andare a produrre a più basso costo, in posti in cui non esistono leggi contro l'inquinamento, possono portare sviluppo e benessere in luoghi e Paesi poveri, non chiedevamo questo? Vogliamo che le fabbriche smettano di inquinare il nostro Paese, cosciente ormai giustamente che la terra vada difesa e non aggredita, ma come si fa tutto questo se non in questo modo? Vogliamo poi attrarre sul nostro territorio investimenti stranieri che creino nuova occupazione. Come si potrebbe fare se non abolendo completamente i diritti acquisiti di una classe operaia poco incline a farsi sfruttare come un cinese, poco disposta a produrre come uno stakanovista e farsi pagare come un africano? Lo si riduce disoccupato e senza futuro poi, dopo un pò di anni di fame e perdita di memoria di classe, gli si fa vedere un barlume di luce in fondo al tunnel della disperazione e della fame e vedrete che il gioco è fatto. Ma come si convincono gli investitori stranieri (Cinesi ad esempio) a venire ad investire nel nostro Paese se quelli possono già liberamente fare tutto questo nel loro Paese o in altri? Gli si mostra che anche se uccidi una cinquantina di abitanti all'anno con il mesioteloma o l'asbetosi, non sarai condannato alla fine e di non tenere conto di due giudizi dati in pasto alle famiglie per farli stemperare la protesta, non importa se i tempi del processo sono colpa dei giudici che li determinano (magari sapientemente per arrivare a quel risultato), tu non sarai condannato e non cacci fuori un centesimo: se son morti è colpa loro! Ecco. Io ora mi aspetto che tra due giorni, quando gli architetti che costruiscono i ponti di parole sulle questioni di cui sopra, avranno deciso che dobbiamo dimenticare l'accaduto, ci faranno dare in pasto, la notizia di una piccola ripresa dell'occupazione, grazie a nuovi timidi investimenti che possono, a seconda della nostra accoglienza, ritirarsi dalla scena o inondare il nostro Paese con un piccolo tsunami benefico. Ecco, mi aspetto questo. Perché se no come fanno a farci riaddormentare senza riflettere che se vogliamo che i capitali stranieri investano da noi, dopo non sono le "nostre" industrie che abbandonano il Paese, ma le loro che vengono ritirate dopo aver preso quello che vogliono. Come facciamo a continuare a dirci che quando il capitale straniero investe in Italia é bene, ma che se il capitale italiano investe all'estero é tradimento? E come facciamo a dirci che se in Cina muoiono operai che lavorano in condizioni pietose è normale mentre se in Italia uccidono qualcuno li costringeremmo a pagare e ad andare in galera? Queste non sono cose sostenibili, anzi, fanno proprio a cazzotti e, sul ring, il pugile chiuso sotto i colpi avversari nell'angolo, siamo proprio noi: la gente normale: quella che non conta niente!


lunedì 17 novembre 2014

l'Elogio del mò

L'elogio del "mo"

Questa particella dialettale, diffusissima nel parlato quotidiano, ma non ufficializzata nella lingua scritta, é, sicuramente, molto più efficace della definizione italiana del suo senso: "mo" é il prefisso della parola "momento" ed è efficacissima, a dispetto della dizione completa del "momento" che rifiuta proprio di specificare davvero quanto lungo sia il lasso di tempo che gli si vorrebbe attribuire: Momento,
 sostantivo, sinonimi:
 Chiunque può dirti "aspetta un momento",  "un momento che arrivo", " può attendere un momento", "si  accomodi un momento in sala d'attesa"; classico delle donne "sarò pronta tra un momento"...potremmo continuare all'infinito, ma tutti sappiamo che barba quel momento di attesa, assolutamente sconosciuto il tempo che durerà. Il "momento" ti pone in una condizione antipatica; tutti abbiamo la sensazione di subire una violenza, un furto indeterminato del nostro tempo che qualcuno ci sottrae a sua volontà. La dizione del momento è una bugia! la stessa etimologia della parola lo dice, ed usa proprio per affermarlo, la nostra amata particella a sottolineare che in quell'istante, contemporaneo e durevole solo il suono del "mo", sta il tempo della verità, per il resto è una menzogna: "mento"! D'altronde anche volendo prendere in esame altre estensioni e significati della parola, non facciamo altro che peggiorarne il suo uso: "ti faccio passare un brutto momento" è una minaccia di lunghe ed atroci sofferenze, altro che piccola frazione di tempo. Terribile poi la minaccia della mamma che, quando non ce la faceva più, ci gridava dietro come lanciasse un anatema: " quando glielo dirò a tuo padre vedrai che ti farà passare un brutto momento" una tortura che durava tutto il tempo dell'assenza del papà e che tramutava il suo agognato ritorno, da gioia in terrore per l'incertezza del castigo. Momento mantiene le promesse del suo sinistro significato: Mo-mento...quando ti trovi a passare un brutto guaio; "...sto attraversando un brutto momento", un periodo non proprio felice: " questo è proprio un momento di....", dal dentista: " apra la bocca, non sentirà niente e tra un momento sarà tutto finito"... Insomma no! Mo-mento è una parola che andrebbe abolita perchè si presta troppo palesemente ai bugiardi, a coloro che ti prendono in giro, non mantiene la promessa in nessun caso!
Proprio il contrario di "mo", la sua abbreviazione dialettale. Mò! vuol dire proprio adeso, nello stesso spazio temporale del suono, in quel decimo/secondo che lo pronunci e lo odi. Mo vuol dire immediatamente, faccio questo mentre lo dico e prima che finisca di udirlo. Mo si associa con il presente dell'attimo, il suo prolungamento sposta lo svolgere dell'azione nel futuro: "quando arrivi?" "mo, sto quà!" "mo devo fare il caffè" lo dici mentre stai già avvitando la caffettiera, "dammi un bacio" "quando?" "mò!" e la stai già baciando. " Mò te ne devi andare da quà!" é una frase che si accompagna con un tale tono d'urgenza che l'altro capisce benissimo, visto che stai ringhiando, che deve sparire in quel preciso secondo."Mò me la faccio addosso" lo dici mentre guardi i pantaloni e l'alone scende, in contemporanea, non è la stessa cosa se dici " tra un momento me la faccio addosso" " quando?" "tra un momento..." "ah!, tra un momento..." e già non ci credi neppure tu, che te lo scordi e la fai dopo due ore...Ora vi state chiedendo quando la smetto, vero? e, sono sicuro che vorreste sentirvi dire mò...tremate all'idea che io risponda...ancora un...momento.