mercoledì 17 agosto 2011

Gnocchi in piazza


Gnocchi in piazza

Doveva essere una serata normale. Una serata di gnocchi da mangiare insieme, come ogni anno, nella piazzetta della borgata. Come ogni anno, tanto per stare insieme, potersi salutare dopo un anno di lavoro in città e di una vita isolata, per coloro che restano ad abitare un pezzo del paese sui bordi del suo confine. Doveva essere così anche quest’anno: col solito Andrea Tasso ad organizzare il nugolo di ragazzi sempre più giovanotti e signorine, che partecipano pienamente, per non restare avvolti dal troppo silenzio, là dove le case sono rade e le ombre dei castagni e dei faggi già avvolgono, con le loro ombre lunghe, la piazzetta del Freinetto, nei pomeriggi d’agosto. Questo doveva essere, senza che nessuno si aspettasse o volesse niente di diverso da quello che era stato negli anni precedenti: Un piatto di gnocchi in piazza, per stare insieme. Ma questo paese, Coazze, insieme alla capacità di far rinchiudere anche i più esuberanti in un silenzioso intimo raccogliersi nel proprio privato, ha anche quella di rimettere nelle mani di ogni persona, il proprio arbitrio. La scritta sul suo campanile, letta in positivo, lascia campo libero: Ognuno a suo modo.
Così il vitale Andrea, sfatando la leggenda che vuole il Tasso un tenace dormiglione, pensa di fare una sorpresa a tutti i convitati: Invita alla serata, gli amici conosciuti sul campetto della chiesa di quel famoso campanile con la scritta. Ha già combinato qualche partita con loro, stretto un rapporto quasi di parentela col loro allenatore, tal Renzo Bertino da Giaveno e, come due compagni di merenda che ne stanno architettando una bella, s’inventano unanota di colore, per ravvivare il piccolo borgo. All’inizio è sempre così: i forestieri se ne stanno un pò in disparte, discutendo forse tra loro di questo strano paese in cui sono capitati non per loro scelta, mentre i borghigiani si salutano tra loro e smorzano qualche sorriso all’indirizzo dei nuovi arrivati. Guardano incuriositi quella macchia di colore che si staglia come una mora, contro il muro della casa di fronte. Poi qualcuno deve pur smuovere l’acqua nello stagno e, visto che é nata proprio per perseguire questo obbiettivo, ci pensano il presidente ed il vice della Casa dei Popoli di Giaveno. Al megafono dei Giovani Freinettesi ( ma si dirà così?) il vicepresidente della Casa spiega in qualche modo il motivo della loro presenza e quella dei loro ragazzi di Forno “… Siamo nati per disturbare ilsonno altrui…per promuovere e incanalare l’incontro di culture e popoli diversi...”  Mentre don Luciano Allais lo sorregge con la sua presenza tranquillizzante e poi…E poi basta…siamo qui per mangiare insieme: mangiamo. la macchia di colore si sposta dal muro della villa e si dilata su tre tavoli, i borghiggiani e i villeggianti si stringono intorno ai tavoli vuoti circondandoli e i ragazzi e le fanciulle cominciano a sfilare tra i tavoli con i vassoi di pane e salame e con…piano con quel vino! Serata e Cena scorrono via veloci, mentre un dj improvvisato lascia partire da dietro un angolo che lo cela alla vista, un pò di musica a rallegrare la serata. Per una volta anche loro disturbatori di un sonno abituato a prendere i residenti alle prime ore del calar delle oscure ombre delle giovani notti di Freinetto. La macchia di colore ospite della serata, comincia ad ondeggiare, loro alla musica non sanno proprio come fare a resistere. Qualcuno si stacca, dal gruppo e comincia a conquistare fazzoletti di spazio di quella terra che li ha accolti con sospetto, persino con un poco di ostracismo. Silvius  si accaparra il microfono e la macchia lo circonda. Cantano timidamente una delle loro canzoni, voci tribali si infiltrano tra le case della borgata sperdendosi nei boschi, cantano e ondeggiano, qualcuno si attarda, ma tutti si stringono intorno al fratello, per non lasciarlo solo e non restare isolato. Sembrano le sardine quando fanno il pallone…il canto diventa una seconda canzone e poi un’altra, in un crescendo di gioia e di battimani. Poi entra in scena Ogogo, il giovane africano è fisicamente un guerriero. La sua donna (vent’anni o poco più, in attesa di un figlio)  lo ha preparato alla serata riempiendogli la testa di treccine che lo rendono ancora più agreste. Sembra  Mandinga (gigantesco guerriero cinematografico degli anni settanta del secolo scorso) e, proprio lui, comincia a chiedere al dj di mettere un pò di musica africana. I giovani italiani sono ( grazie a Dio) di larghe vedute e concedono al loro ospite uno spicchio del loro territorio, la musica tribale comincia a rodere il silenzio, si espande e…Mandingaballa. Balla come se fosse l’ora del suo spettacolo e trascina gli altri, i suoi amici ed anche i suoi nuovi amici in una voglia di ballare e di divertirsi. Lui fa girare intorno a se tutta la gioventù italiana, abbraccia una ardita signora e la fa volteggiare regalandole un ricordo di gioventù, uno spumone… le macchie si confondono, quella bianca e quella nera ora i mischiano e si riformano, e non sono più macchie di colore distinte:sono solo giovani tra giovani, persone ed altre persone non altre. Sono solo loro: tante persone insieme, quella che qualcuno chiama gente. Ed Andre Tasso,  viene travolto dalla sorpresa ricevuta da quella che lui aveva pensato di regalare agli altri. Non è stata una serata di gnocchi in piazza, non solo, ma non è stata nemmeno una serata speciale. E’ stato solo quello che succede normalmente quando due culture si incontrano e si conoscono, non osteggiandosi a vicenda. Senza supremazia, rispettandosi.

domenica 31 luglio 2011

" Dategli da mangiare voi..."

Oggi, in chiesa, l’omelia di don Gianni racconta del miracolo dei pani e dei pesci. Chi non la conosce? Il nostro parroco, ha la capacità di rendere sempre attuali le sue prediche.  Mentre lui parla  scorrono le immagini  della collina piena di gente affamata, passano  davanti agli occhi come fosse oggi, appena fuori dalla chiesa. E le sue parole hanno un senso forte “…i  discepoli chiesero a Gesù di provvedere a dar da mangiare ai convenuti e Cristo disse loro: “dategli da mangiare voi stessi…”  Insomma  la parabola dei pani e dei pesci moltiplicati la conoscete tutti. Anche quelli che come me, sono stati lontani una vita intera dalle parole di un prete, dall’atmosfera di una chiesa. Quello che mi ha colpito oggi erano quelle parole che non conoscevo “…Potete dargli da mangiare voi stessi…” coincidono in un modo sconvolgente con quello che avevamo proposto come Casa dei Popoli, sconvolgente perché semplice e immediato: ” AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA” l’avevamo chiamata, e vi giuro che nessuno pensava al deserto e ai cinquemila accorsi al richiamo di Gesù, ma piuttosto alla canzone di Jonny Dorelli e alle sue parole.
Ma don Gianni ripete “...sfamateli voi… disse il Cristo…”  Ed eccoli li, davanti ai miei occhi, i profughi di Forno che mi sembrano attendere, isolati lassù tra i boschi, a dieci chilometri dalle parole di don Gianni,  che qualcuno li vada a trovare per prenderli per mano e dirgli ” Vieni fratello, ascoltiamo le parole di Cristo, io ti sfamerò. Dividerò col te il mio cibo, in memoria di quel miracolo…” Macchè…non è successo, non è mai successo che qualcuno salisse e aggiungesse un posto a tavolo la domenica. La nostra proposta non era “…ben definita…” secondo un abitante della nostra Casa. Già, avremmo dovuto definirla meglio…e se lo dice lui che è cattolico anzi… di più. Ma come avrebbe dovuto definirla Gesù quella proposta? Lui disse ai suoi discepoli ” ...sfamateli voi...” non c’era niente da definire. Fatelo in prima persona. Questo diceva, non aspettate che qualcun’altro lo debba fare prima di voi. Fatelo per cristianesimo, per solidarietà umana, per bontà. Fatelo per quello che credete sia più aderente alle vostre idee, ma fatelo. Chi aspetta di essere nutrito, non può attendere che  la proposta sia “meglio definita”   e…attenti…non credo che il cibo di cui hanno bisogno i nostri amici profughi sia quello della pancia. E’ vero, a tavola mangiano, ma è della vostra amicizia che si nutrono, del vostro tendergli la mano. Proprio come la folla intorno a Gesù. E se vi guardate bene intorno, coloro che hanno bisogno di una mano, diventano ogni giorno di più.  Non solo tra i neri. Siate pronti ad accogliere colui che arriva nel nome di Gesù. Siate pronti a dare una mano a vostro fratello, non aspettate che lo faccia qualcun altro per voi, non aspettate una proposta meglio definita. Non l’avevamo fatta solo per gli altri. Quelli della Casa avremmo dovuto tendere la mano…sfamare i convenuti su quella montagna…questo forse avrebbe definito meglio la proposta.

mercoledì 25 maggio 2011

Aggiungi un posto a tavola

http://casadeipopoli.wordpress.com/2011/05/25/la-casa-al-varo/
La Casa dei Popoli
Va bene, la nave è partita.
Al Varo non c’era tutta la gente che avremmo voluto ma si sa, quando si parte per una avventura culturale, le menti ricettive si contano sparute tra le sedie vuote, a differenza delle frotte delle voci e colori di una festa patronale.
Coloro che staccano un biglietto per un viaggio simile, e puntano la prua verso mari aperti, sono menti libere, persone disposte a pagare il pedaggio per cercare l’avventura di saziare l’anima, di scoprire i loro limiti nell’essere uomini e donne solidali con gli altri. Capaci di mettere in discussione se stessi e la loro vita fin qui. Giovane o meno che sia.
Abbiamo detto che la Casa dei Popoli nasceva soprattutto per noi, per noi tutti, perché nei piccoli centri in cui noi viviamo, gli altri non esistono o, almeno non dovrebbero essercene. Gli altri abitano le grandi città, le metropoli, dove le persone si chiamano genti  e spesso hanno un numero al posto di un nome, non in paesi così a dimensione d’uomo come i nostri Comuni. Giaveno, al pari di Trana, Reano, Villarbasse, Coazze e Cumiana; così come Avigliana eSant’Ambrogio e gli altri paesi della Valsusa. In tutti quei piccoli paesi che di notte, dalla sacra di San Michele, sembrano un perlage di luci di un presepio, no, qui no, non ci sono altri.
Qui siamo noi che ci viviamo e noi siamo qualche Fernando, molti Giorgio, sparuti Biagio, tantissimi Michele, Luca e infinte Rose, Maria, Eva, Sandra e Claudia ed una lunga sfilza di nomi di uomini e donne che meraviglia come il cervello umano possa ricordare tutti dandogli un posto speciale ad ognuno, facendoli alloggiare dentro di noi, rendendoli parte di ognuno: Noi formati da quello che siamo insieme a tanti altri e noi dentro ognuno di loro. Questo nostro cervello è la casa di tutti quelli con cui veniamo in contatto e con tanti altri che la tecnologia moderna ci mette a confronto. La nostra testa è la casa di un variegato popolo che la abita. Noi non abbiamo fatto altro che questo: tirare fuori questo nostro mondo e metterlo in comunione con gli altri. Quello che è nostro nessuno ce lo può portare via; condividendolo con gli altri possiamo solo moltiplicarlo insieme alla ricchezza che si accumula dentro di noi, facendoci scoprire che abbiamo ancora tanto spazio da poter alloggiare senza fine persone, odori e suoni all’infinito. L’arrivo dei ragazzi di Forno, i profughi africani provenienti da Lampedusa, ci ha solo posto di fronte alla prova pratica di cosa siamo in grado di fare per gli altri, mettendo alla prova ciò che diciamo e che pensiamo sempre di essere in grado di fare, ma che mai sperimentiamo sul serio fino in fondo. Eccoci! Abbiamo risposto Presente! Alla prova di fuoco del nostro battesimo. Abbiamo realizzato qualche desiderio di giovani impauriti da ciò che avevano visto e che si ritengono fortunati per il sol fatto di essere giunti sani e salvi nel nostro Paese in festa per i suoi 150 anni di unità nazionale, e per i suoi 65 anni e oltre di pace. Abbiamo raccolto qualcosa per loro, fatto a meno di qualcosa per noi per condividerlo con giovani ai quali la vita non ha dato fin’ora niente, oltre che se stessa, e non siamo morti, nè abbiamo perso peso (purtroppo). Ora però vogliamo provare a fare qualcosa di più. Ora non vogliamo più fare qualcosa solo perché abbiamo noi la necessità di sentirci buoni. Ora noi DOBBIAMO  e VOGLIAMOP SUPERARCI. Da mezzo secolo il popolo italiano canta un vecchio successo di Jhonny Dorelli: “Aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più…” questa era una canzone che piaceva ai credenti e ai compagni agnostici, li faceva sentire pronti e buoni entrambi, ma non mi risulta sia praticata da molti. Ora noi alziamo il tiro, vogliamo provare (e ci vogliamo riuscire), questo il nostro primo obbiettivo: VOGLIAMO TROVARE 15 FAMIGLIE CHE ALLA DOMENICA AGGIUNGANO DUE SEDIE A TAVOLA PER OSPITARE A PRANZO UNA COPPIA DI QUESTI GIOVANI AFRICANI. Riceviamo solidarietà scrivendo alla Casa dei Popoli per prenotarvi, per offrire il vostro sostegno e per potervi fare un regalo : due amici a tavola la domenica. Coraggio vediamo di che cosa è fatta la solidarietà italiana, facciamo onore alla nostra Nazione nel suo compleanno. Si ricevono iscrizioni scrivendo a:
casadeipopoligiaveno@gmail.com  oppure telefonando ai seguenti numeri:
Fernando Martella 333,3169237 –  Fulvio Fiore 348,2210849

La Casa e i suoi abitanti

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Grazie Marco

Grazie Marco
Abbiamo cominciato a muovere i primi passi, siamo abitanti di  una Casa che cammina. Marco ama dire "work in progress". Lo dice bene lui, ama dirlo e, a volte, ama anche ripetersi, tanto gli piace. Abbiamo fatto già molte cose buone, anche da appena nati: siamo precoci. Bene. Alla prima salita però, proprio io ho  mostrato subito un pò di fiato grosso. Alla riunione di venerdì scorso, il 20 maggio, durante il tentativo di spiegare alle persone convenute per conoscerci (grazie a tutti!) i motivi di una nascita così importante, dopo la sua introduzione e le parole del nostro presidente: don Luciano Allais,  ho trovato più difficoltà di loro per comunicare il perché della nascita della Casa dei Popoli. Eppure io l'ho partorita questa iniziativa, ho percepito questa necessità del nostro territorio prima di tutti. La necessità di una simile struttura, nelle nostre valli, io l'ho intuita per primo, ho saputo coinvolgere gli altri, Margrita prima di tutti, salvo Biagio Delmonaco, con me sin dall'inizio. Allora perché non ho avuto la lucidità necessaria per poter spiegare ai presenti perché La casa dei Popoli? In realtà non penso che molti si siano accorti di questa mia difficoltà, anche perché questa non si é manifestata con secchezza delle mucose e mancanza di parole anzi, quelle ce n'erano fin troppe e più rumorose di sempre. Ed é stato proprio questo incessante rumore che mi ha fatto accorgere della mia inspiegabile difficoltà. Ero un padre che non sapeva presentare la suo figliola agli amici, allora? Solo un signore, il presidente di una delle associazioni consociate nella Casa, il presidente dell’A.Ge Piemonte Giancarlo Clara, più navigato del sottoscritto, ha denunciato questo mio affanno: " Siamo La casa della Pace, della Democrazia, ed allora perché attacchi gli altri come se hai già intrapreso una guerra?" Ecco! Aveva visto oltre il fumo delle mie parole, aveva visto il mio nervo scoperto. Perché dopo aver partorito una idea di fratellanza e di pace io stavo aggredendo coloro che, secondo me, non sono in sintonia col mio modo di vedere le cose? Ci sono voluti due giorni e due notti, ed una messa in una chiesa ortodossa, perché io capissi: la mia mancanza di ossigeno quella sera era dovuta alla mia educazione, o meglio, alla sua assenza. Ho avuto un bagliore mentre in chiesa, ascoltavo persone diverse cantare in coro un inno a Dio. Non importa a quale Dio. Quello che facevano era che gli si rivolgevano insieme, capii, seguendo quel pensiero, che milioni di persone nel mondo, si riuniscono più di una volta al giorno, nelle preghiere che rivolgono al loro Dio.   Ecco cos’era saper lavorare con gli altri, non contro. Si, si può obiettare che insieme, in nome dello stesso Dio, tante volte, si sono armati contro gli altri. Si, ma quello che voglio dire è che c’è una loro abitudine, a pensarsi come componenti di una comunità, granelli di sabbia di una stessa spiaggia. Io no. Io mi sono sempre rivolto alle cose ( a Dio?) in modo individuale. Nell’esaltazione della mia libertà di avere un dialogo intimo, privato e diretto, col creato e col creatore. E la mia libertà,  anarchica nel suo manifestarsi, mi ha educato a credere che tutto ciò di cui abbiamo bisogno, è in qualche posto dentro di noi, basta saperlo tirare fuori. La stessa cosa che chi ha fede, chi da per scontato (ragionevolmente) che l’essere umano è un essere incompleto, che ha la necessità di legare ad altri la sua natura per potersi completare, chiama arroganza! L’arrogante convinzione di chi, una volta fissato un suo pensiero, si arma per difenderlo contro chi si prova anche soltanto a non condividerlo, pur senza osteggiarlo! E’ natura umana essere fragile, si vive errando per poter imparare. Ed ecco l’insegnamento che arriva nella serena accettazione del mio errore da Marco Margrita. In questo nostro incontro abitativo, lui  ha sempre dato  il suo contributo, badando alla locuzione positiva della nostra iniziativa. Si è sempre preoccupato di metterne in luce le idee costruttive senza dar molto peso agli errori di pronuncia virulenta degli strali miei e di Biagio Delmonaco,  contro chi non è in linea col progetto costruttivo di una Casa, che negli intenti  nasce aperta ad ogni persona,  ma che, alla prima battuta, attraverso due esperienze individuali ma molto comuni, trancia giudizi e sentenze sugli altri, chiudendo in qualche modo le porte ai cattivi. Probabilmente con questo modo di fare( il mio soprattutto  e quello di Biagio) si hanno due mani ed una pala per costruire, ed un buldozer per demolire. Insomma così non si va da nessuna parte e non si costruisce nessuna Casa.  Giusto era l’appunto di G. Clara: Una Casa della Pace, con la bandiera arcobaleno nella sua carta dell’abitante, non può dichiarare guerra a nessuno. Marco è un ottimo interprete di questo pensiero, ce lo ha dimostrato in più occasioni. Seguiamo il suo passo e faremo molta strada, la Casa si riempirà di abitanti amici.

Iscriversi ora

 Iscriversi ora, subito, come abitante della Casa dei Popoli, sarebbe un segnale forte, apporterebbe nuova linfa ed idee quindi, se lo fate ora vale il doppio. Noi siamo per la convivenza civile che esalta la cultura di ognuno arricchendo tutti. Non abbiamo paura di perdere i nostri connotati o le nostre radici. Siamo ferrei nella loro difesa, sappiamo chi siamo e non ci smarriamo facilmente e se apriamo le nostre porte é perché l'aria nuova rigenera il sangue ed i tessuti.  A coloro che, per paura del diverso, si rinchiudono in una difesa ottusa di un paese che non c'è più, é rivolto il nostro invito:VIENI, PARLA CON NOI, abita la Casa insieme agli altri e scoprirai che nessuno qui vuole il tuo smarrimento. E' ora di fare un cambiamento nella tua vita; non rinchiuderti in casa la buio pensando che se apri la tua vita agli altri, qualcuno ti deruberà di qualcosa. Siamo qui per darti quello che abbiamo, ed invitarti a condividere con noi la tua, viviamo insieme da tanti anni e non ci conosciamo, Non ti va di sapere chi siamo? Vienici a trovare, la casa é aperta...Metti il tuo nome a fianco del nostro nel registro degli abitanti, Non avere paura degli altri. Noi siamo gli altri.

sabato 14 maggio 2011

conferenza stampa

Conferenza stampa
14 maggio 2011 da casadeipopoli | Modifica
Conferenza stampa della Casa dei Popoli uno Giaveno, lunedì 16 maggio 2011 Alle 18,30, Nella Sala Giunta del Municipio di Giaveno, Palazzo Marchini. Il promotore della Casa dei Popoli, Fernando Martella, presenterà i Presidenti delle Associazioni costitutivo ed il Presidente della Casa dei Popoli, Don Luciano Allais alla stampa.

venerdì 29 aprile 2011

costruire lo statuto dell'associazione

La casa dei Popoli è una organizzione senza fini di lucro che intende promuovere la nascita di un luogo fisico, propriamente denominato “Casa dei Popoli”, atto agli incontri ed agli scambi di esperienze e di iniziative  che tendono a far interagire le varie culture che si incontrano sul  territorio italiano. La Casa dei Popoli nasce dall’incontro di tre associazioni fondative: l’ Associazione Culturale degli Emigranti SanPaolesi nel Mondo;l’Associazione Lisanga; l’AGE. Tutte di Giaveno ed alla quale hanno aderito  la parrocchia San Lorenzo di Giaveno e quella di Nostra Madre di Cumiana. E’ nostra intenzione invitare a partecipare a questa iniziativa tutte le associazioni di Cumiana, il museo delle emigrazioni di Frossasco ed il Corsorzio tra i Comuni di: Giaveno; Trana; Coazze; Sangano e Bruino ai quali si aggiungono(solo per questa istituzione) il Comune di Cumiana e quello di Frossasco. Alla Casa dei Popoli possono aderire singoli cittadini, associazioni culturali ed istituzioni religiose e politiche, tenendo ben presente che nella Casa dei Popoli è lecito osservare qualsiasi credo religioso e politico, purchè si rispettino e non si offendano con atti o con il linguaggio, la dignità degli altri e di ognuno. La Casa dei Popoli è retta da un Direttivo nel quale dovranno essere rappresentate al meglio le istanze culturali diverse, anche se minoritarie. All’interno della Casa e delle iniziative culturali dovranno essere evitate qualsiasi forma propagandistica di parte religiose o politiche.

martedì 26 aprile 2011

l'emigrante?: é il signor Tiramolla!


Quando milioni di meridionali sono emigrati (circa 20milioni solo nel nord del Paese) hanno fatto subito un piacere al sud ed uno al nord. Lo spazio che si creava al sud, garantiva una maggiore occupazione per chi rimaneva che, spesso, si impadroniva anche di tutta l’eredità di famiglia, ma anche gli stipendi percepiti al nord hanno preso, per molto tempo, la strada del paese. Servivano a mantenere le famiglie rimaste a sud (almeno fino a quando al nord non si accorsero che l’emigrazione maschile non rendeva, bisognava fare arrivare su le mogli ed i figli degli emigranti). Le rimesse degli emigranti mantenevano (e mantengono ancora un discreto ruolo) un certo introito nelle regioni e nei comuni da cui partivano. Gli emigranti ristrutturavano la vecchia casa, garantivano un certo afflusso turistico tutte le estati, sono stati i primi clienti dei campeggi e dei lidi marini, consentendo un sviluppo delle spiagge delle coste meridionali, trascinando spesso con sè persone del nord che mai sarebbero scesi così a sud. Al nord o all’estero gli emigranti hanno portato la loro capacità e forza lavorativa, sono diventati clienti di ristoranti e musei, di studi medici e dentistici, parrocchiani e tifosi sportivi, dando vita a un giro di moneta ed svolgendo un compito di rilancio di un mercato edilizio praticamente morto prima del loro arrivo. Hanno arricchito i comuni di residenza con il loro arrivo:tasse, rivalutazioni di alloggi in affitto o in vendita, aumentato gli introiti dei negozi e delle palestre, perfino le chiese hanno avuto un maggior introito delle offerte dei fedeli che sono aumentati grazie ai nuovi arrivi. Ingommalo sappiamo tutti che un emigrante fornisce pura ricchezza ai due luoghi a cui appartiene: il paese natìo e a quello adottivo. Eppure per loro non c’è mai stato un riconoscimento né dall’uno né dall’altro. Anzi, se da dove sono partiti sono stati dimenticati, dove sono arrivati sono stati osteggiati a non finire. Cartelli e comportamenti razzisti sono stati normali per un lungo periodo. Un esame senza fine e senza potersi difendere, convinti come si era tutti: noi e loro, che noi, in quanto meridionali eravamo inferiori e che stavamo rubando lavoro e spazio agli indigeni. Non si aveva la coscienza allora, che noi eravamo vittime di quello che è stato il risorgimento italiano:Un trasferimento di fondi e risorse(tra le quali, quelle umane) dal sud al nord. Un esame dove le persone migliori del sud, si son dovute far dare i voti quotidianamente dai peggiori del nord. Eri un buon meridionale, tale da poter essere (quasi) considerato come “uno di loro” solo quando mostravi un atteggiamento di repulsione verso gli “altri” tuoi compaesani dei quali provavi un po’ vergogna ( un po’ come ha fatto l’esimio Roberto Placido nei confronti del Comitato Nolombroso). E magari parlavi qualche parola del loro dialetto ed avevi bandito il tuo dal tuo linguaggio. Questo fino a qualche tempo fa. Con l’arrivo delle persone dell’est, al nord sono scomparse quelle pustole purulente che faceva venire ai meridionali il sentirsi chiamare “Napuli” “Africani” “Sudici”. Finito il razzismo? No, riassorbito naturalmente dal fatto che ora ci sono troppi stranieri veri, per dare dello straniero ad un proprio connazionale. Ma il pus del razzismo è stato riassorbito e scomparso o, invece, agendo sottopelle si è distribuito in tutto l’apparato sanguigno del paese facendo avvelenare tutto il “corpo”? A guardare bene quel pus ha ormai invaso anche i capillari e la nostra Nazione, la quale invece di diventar Paese, sta continuamente scivolando verso una deriva di disfatta vergognosa. Tanti sacrifici non sono serviti a niente? I morti e le ruberie dei piemontesi devono essere rimborsati al sud, il quale non riesce a farsi bastare una possibilità mai avuta in questi 150 anni di unità: la possibilità di rimettere, con orgoglio, gli avvenimenti storici e la costruzione di un futuro diverso, più equilibrato, tra il nord ed il sud del paese. Sembrerebbe che gli esami, per gli italiani sarebbero finiti ed invece, non è così! Per gli emigranti almeno, si apre un nuovo periodo, forse peggiore di quelli precedenti: dopo aver rischiato il referendum richiesto dalla becerità della Lega Nord, per rinviare “gli africani in Africa” oggi ci si mettono anche i “fratelli del sud” a strattonare la giacca: Non stai con i movimenti del sud? Sei un ascaro, venduto, un traditore! L’emigrante Cittadino di due Comuni, di cui avevo sognato e per il quale avevo proposto come collante tra i due logotipi di cittadino del sud e quello del nord, il cittadino nuovo per rilanciare l’italianità degli abitanti del Belpaese, finisce per essere strattonato da nord a sud in un tentativo misto dalla rivendicazione territoriale di due fazioni di imbecilli: o stai col nord (Lega, contro i tuoi ex fratelli) o stai con il sud che ti ha partorito ma che non ti riconosce). E l’emigrante dovrebbe sapersi allungare come Tiramolla per poter abbracciare tutta l’italica umanità e tenerla insieme…prima che il rifiuto di coloro che non ci riconosce come cittadini del nord o quelli che ci ritengono dei traditori del sud, di comune accordo, ci imbarchino sui gommoni con cui arrivano dalla Libia i “nuovi cittadini del mondo” e non ci spediscano di là del Mediterraneo. Da dove, siamo venuti tutti.